Perché il Nuovo Cdu e perché un nuovo partito, in qualche maniera, “riesumato”?
Innanzitutto il Nuovo Cdu ha ripreso l’azione politica dei Cristiani Democratici Uniti, i quali, non dimentichiamolo, hanno portato in dote all’Udc ed al centro-destra d’antan – quello di Berlusconi, Fini, Bossi, Casini e Buttiglione e non quello del lepenista Salvini – lo scudo crociato che appartenne alla Democrazia Cristiana.
Se non ci fosse stato il Cdu, il simbolo di Sturzo e De Gasperi sarebbe andato in mano a Castagnetti, Bindi, Prodi, Franceschini, Renzi e Boschi, i quali, probabilmente, lo avrebbero seppellito o, più probabilmente, mischiato con falci e martello, ulivi, bandiere arcobaleno.
Insomma, una fine penosa per l’emblema che ha rappresentato l’unità politica dei cattolici italiani e qualche cosa di più: la libertà, il benessere, una vita pubblica non estranea ai valori: prospettive diverse dal mondo della sinistra, cui aderì l’altra metà del Partito Popolare Italiano, diventata, qualche mese fa, definitivamente euro-socialista.
Una scelta legittima la loro, soprattutto oggi che l’unità politica dei cattolici non è più riproponibile in termini molto ampi, mai unanimi (vivaddio siamo sempre stati liberi di pensare e di agire come volevamo) come fu con la Democrazia Cristiana.
Ma anche una scelta discutibile e contrastabile.
Il Cdu resta, innanzitutto, ancorato ad un’idea forte di cultura politica, quella dei cristiani-democratici, così come si è sedimentata ed arricchita dalla promulgazione della Rerum Novarum in poi, mantiene vive le sue icone come la commemorazione di Aldo Moro in via Caetani il 9 maggio, gesto importante e significativo rinnovato spesso in solitario per l’assenza di tutte le altre, numerose sigle della diaspora Dc, e, soprattutto, non si arrende a vedere dilapidato e silente un patrimonio storico ed ideale importante che meriterebbe tanto più risalto quanto più è povera l’attuale offerta politica.
Il Nuovo Cdu ha due grandi punti di riferimento.
Il primo, culturale, è il pensiero di Augusto Del Noce.
Egli aveva intravisto con lucido anticipo il sorgere di un nuovo totalitarismo, tecnocratico e nichilistico, nemico dei valori tradizionali, irreligioso, strumento ideologico e secolare di una nuova borghesia.
Del Noce era anche un intellettuale militante che chiese, invano, alla Democrazia Cristiana di attrezzarsi culturalmente, attraverso un’adeguata comprensione della modernità, per immaginare soluzioni politiche all’altezza dell’evolversi degli avvenimenti.
Chi capì il segno dei tempi fu Aldo Moro, il secondo punto di riferimento del Nuovo Cdu.
Egli aprì la stagione del confronto non per una sorta di ripiegamento remissivo, ma nella lucida consapevolezza che una nuova fase della dimensione pubblica italiana richiedeva una capacità di adeguamento anche e soprattutto ai cristiani-democratici.
La loro unità, in qualsiasi passaggio, anche di difficile condivisione, avrebbe costituito la più solida garanzia in grado di dare continuità al loro peso nella società.
Gian Maria Volontè, l’Aldo Moro del film Il Caso Moro, al brigatista che lo interrogava su quali fossero gli obiettivi che la Dc si proponeva, li individuò, semplicemente, in un benessere diffuso e generalizzato alla portata di tutti.
Ecco, di fronte all’offensiva tecnocratica noi dobbiamo ribadire che il ruolo della politica è quello di riportare l’economia a servizio dell’uomo.
All’interno del pensiero unico, la cui prima definizione data gennaio 1995, dobbiamo impegnarci e batterci perché la crescita delle persone e delle comunità non rappresenti più una tra le tante possibilità accordate dal sistema, ma diventi la ragione dell’interagire economico.
Il nuovo Cdu, oggi, ha titolo a riproporsi per la sua estraneità, il suo esser stato nè protagonista, nè comparsa durante il fallimento della seconda repubblica e della sua triste rappresentazione fornita da cortigiani acritici ed inetti, spesso nominati e non eletti, che ha gettato il paese in una grave crisi democratica e morale, assimilabile a quella degli anni Venti.
Un premier eletto da primarie natalizie tutte interne ad un partito di dubbia consistenza, un sistema elettorale come l’Italicum, i cui esiti potrebbero risultare perfino peggiori della legge Acerbo, la rarefazione della rappresentanza che lascia le mani libere a burocrati, capi-struttura, satrapi d’ogni genere e sorta e poteri forti, fino a delegare ad una trasmissione televisiva, Striscia la Notizia, il recepimento delle istanze del territorio, ci fanno dire che ci troviamo di fronte ad una vera e propria emergenza democratica.
Non meglio vanno le cose sul piano economico e sociale.
Siamo stati travolti da una globalizzazione che ci ha trovati impreparati.
Essa si presenta come una grande opportunità perché solo il libero scambio e la libera circolazione di beni e persone creano le condizioni per l’affermarsi delle attitudini individuali e collettive.
Esse, tuttavia, se non governate con attenzione, generano fenomeni negativi.
Il primo è quello legato alla salvaguardia dell’ambiente, il secondo alla sovrapproduzione ed alla saturazione dei mercati maturi, il terzo alla contrazione dei posti di lavoro, il quarto all’abbassamento delle garanzie sociali.
Imprese di successo, o meglio, gruppi finanziario-imprenditoriali di successo possono garantirsi risultati positivi, convivendo con questi fenomeni negativi, anzi alimentandoli ed utilizzandoli a loro favore.
L’economia può crescere e, contemporaneamente, alimentare gli squilibri della società.
Questo determina disuguaglianze sempre più accentuate, tra paesi diversi ed all’interno di uno stesso paese.
Se a ciò si aggiunge la finanziarizzazione dell’economia, dove la carta prevale sui beni utili e concreti e gli strumenti matematici vengono utilizzati in modo spregiudicato a fini speculativi, non è arbitrario constatare che ci troviamo di fronte ad un sistema con forti tratti di iniquità e volatilità.
Noi non siamo tra quelli che si baloccano tra le scorciatoie dell’anti-sistema, anzi riteniamo le regole una ragione di equità e di garanzia per tutti, ma pretendiamo che i fenomeni vadano governati e gestiti a favore dell’uomo.
La soluzione non si trova inseguendo le utopie o rifugiandosi nel velleitarismo, ma impegnandosi a modificare tendenze deteriori e ad affermare una società a misura d’uomo.
Questo corrisponde al tentativo di realizzare un umanesimo integrale.
E rappresenta lo specifico cristiano della nostra ispirazione, che deve essere rilanciata ed attualizzata.
Se sapremo calibrare sulla sensibilità e sui problemi odierni gli insegnamenti propri della dottrina sociale della Chiesa, così come seppero fare i professorini italiani nel secondo dopoguerra ispirando quel sistema di economia mista pubblico-privato che costituì il modello economico italiano o come seppero fare i coevi tedeschi promuovendo l’economia sociale di mercato (il cosiddetto modello renano che coinvolgeva i lavoratori nella gestione dell’impresa), avremo realizzato un concreto impegno a favore dei nostri popoli.
E’ l’intuizione di Sturzo che ritorna.
Egli non pensava un partito confessionale, una sorta di semplice rivalsa nei confronti dello stato liberale o di piccata alterità rispetto al socialismo.
Egli immaginava, come abbiamo visto nelle parole di Gian Maria Volontè, una partito al servizio della gente.
Questa è l’essenza del popolarismo, la ragion d’essere della presenza dei cristiani-democratici nella vita pubblica.
L’enorme urgenza che abbiamo di sviluppare un’iniziativa contro la diseguaglianza, l’emarginazione, la miseria (non solo materiale) per il benessere e la promozione dell’uomo ci impone una ripresa di iniziativa politica, anche tramite simboli ed organizzazioni che pensavamo di esserci lasciati in qualche modo alle spalle.
Purtroppo, il futuro che ci avevano descritto non è stato così radioso come tanti si aspettavano.
Così siamo in qualche modo costretti, anche dal nostro senso di responsabilità, a ripartire con un’identità più accentuata ed una proposta più definita.
Innanzitutto dai territori, da questa città che va al voto amministrativo a metà 2016.
Una città che ha vissuto con decenni di anticipo la globalizzazione, quando la scelta di costruire uno stabilimento nella lontana Unione Sovietica ha trasformato, tra le altre cose, i referenti delle Officine Stella Rossa da discriminati a maitre a penser della borghesia monoculturale torinese.
Si sono frettolosamente archiviati i pellegrinaggi a Lourdes promossi dall’azienda e si è trasformato l’house-organ nel megafono del laicismo più coriaceo.
E così via, fino ad un inarrestabile declino che ha bruciato nel silenzio di una classe dirigente compiacente decine di migliaia di posti di lavoro, pensando che la mano pubblica potesse guidare la riconversione e gli ammortizzatori sociali ponessero rimedio alle emergenze più acute.
Così si sono solo aggravato le condizioni delle casse di Torino.
Il nuovo sviluppo può ripartire dalle iniziative private e dalla sussidiarietà che lo Stato e gli enti locali dovranno agevolare e non assorbire attraverso una gestione inefficiente e totalizzante.
Per questo c’è bisogno di una rinnovata iniziativa politica che, oggi, lanciamo e proponiamo alla città.
Essa si fonda su presupposti ideali e programmatici, è inclusiva e chiama a raccolta quanti non si arrendono alla subalternità nei confronti dei gestori egemoni di Torino, responsabili della sua crisi, ma neppure si lasciano sedurre dalle scorciatoie del populismo e del nuovismo o dalle comodità di un camaleontico consociativismo.
Dobbiamo lasciarci alle spalle situazioni responsabili dell’impoverimento del nostro Paese e della marginalità della nostra presenza nei confronti delle quali, per troppo tempo, non abbiamo saputo reagire con la dovuta determinazione.
Oggi siamo qui a segnare, per quanto possiamo, un’inversione di tendenza, ampliando l’offerta politica, suscitando consapevoli e maturi impegni a favore della sola area capace di offrire risposte reali di governo: quella cristiano-democratica.
Consapevoli che tempi nuovi richiedono nuove responsabilità, nuovi aspirazioni e nuove ambizioni capaci di rendere il percorso dell’uomo degno della sua condizione più autentica e vera.